Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

domenica 30 agosto 2020

La bella degli specchi

 È vero, Mario Tobino è il mio scrittore preferito ed ogni volta l’incanto della sua narrazione aggiunge nuove emozioni e altre sottolineature a matita di passaggi da non perdere così che, riaprendo il libro a caso, saltino subito agli occhi trascinando rinnovate sensazioni.

“La bella degli specchi” è una raccolta di racconti e memorie, vincitrice del Premio Viareggio 1976. In essa sono presenti storie che fanno parte del suo personale vissuto: la guerra in Libia, la partecipazione alla Resistenza con le formazioni di Giustizia e Libertà, il dopoguerra, il suo lavoro all’interno del manicomio e le storie, tra il vero e il fantastico, della tradizione popolare, come quella di Lucida Mansi che dà il titolo al libro.

Lucida Mansi a ventidue anni rimase vedova. Aveva gli occhi nerissimi che aggiungevano qualcosa di infrenabile al perfetto ovale del viso. Anche in un racconto, l’incipit è fondamentale e di Tobino non si può non amare l’uso di vocaboli che, sebbene siano spesso considerati desueti, hanno un loro perché e un loro fascino. Infrenabile è tra questi, parola di derivazione latina, a dimostrazione della sua passione per i classici e dell’essere stato un profondo conoscitore di tutta l’opera di Dante Alighieri. La storia-leggenda di Lucida è parte di Lucca ed è presente nel sito istituzionale.

Ne “La livornese nell’arèm” Tobino racconta la storia di Alberta, giovane livornese che la sera del 4 giugno 1800 venne rapita sulla spiaggia di Antignano e portata in Turchia alla corte di un sultano. Lo spunto gli viene da un ex-voto nel Santuario della Madonna del Montenero. Nel mezzo di una parete fui richiamato da un quadro contenente un giacchettino traforato in fili d’oro, ripiegato come giacesse in un armadio, e, sotto di questo, due babbucce orientali, ugualmente intessute. La storia vuole che la giovane venisse poi salvata dal fratello ma, tornata in patria, la vita non fu più la stessa, macchiata dal sospetto della perdita della sua verginità. I ragazzi che prima del rapimento la guardavano con la speranza di essere ricambiati, giravano il viso sorridendo con sarcasmo; le donne che la cercavano per lavori di sartoria, erano più incuriosite da cosa fosse successo nell’alcova. Alberta passò così da una forma di prigionia ad un’altra, peggiore, di allontanamento ipocrita da parte della comunità.

A seguire, la storia di Birindelli, portiere dell’Università di Lucca, ucciso da due giovani del Partito di Azione per essere stato spia dei tedeschi causando la tortura e la morte di due fratelli, figli del bidello della facoltà di Lettere. E poi i cinque capitoli sulle vicende del tenente medico Agilulfo durante la guerra in Libia.

La parte più bella è quella relativa al manicomio, argomento pieno di emozioni, già presente nei suoi due romanzi precedenti “Libere donne di Magliano” (1953) e “Per le antiche scale” (1972) con il quale vinse il Premio Campiello. Prima come psichiatra e poi come scrittore, Tobino ha avuto il pregio di parlare dell’uomo e non della malattia. Non erano tra loro fratelli, la malattia non li aveva resi pietosi l’uno dell’altro. Anche tra loro gelosia, invidia, odio, come fuori, come in ogni luogo. Sono parole rivoluzionarie anche ora perché la persona con disagio psichico, così come quelli con ritardo cognitivo, con disturbi dello spettro autistico sono esseri umani con il proprio temperamento, carattere, personalità, al di là della malattia e non necessariamente per essa.

Meravigliose le ultime pagine che raccontano la svolta Basaglia. La prima operazione importante fu quella delle “riunioni”, parlare con gli ammalati, gli infermieri, un reciproco confidarsi, consigliarsi. Si trattò prima di tutto di “sensibilizzare” gli ammalati, dar loro fiducia, convincerli che non erano anime perse, che potevano essere utili, guadagnare la stima. Di continuo era sottinteso che il manicomio del passato doveva essere dimenticato. Intenso è il passaggio in cui vengono affidate le chiavi delle porte tra i reparti ad alcuni “ospiti”: è questa la nuova terminologia che va a cancellare quel “malati” stigmatizzante. L’arrivo dei nuovi farmaci antipsicotici ha permesso la domiciliarità e la possibilità di inserimento lavorativo e sociale, condizioni che se prima della pandemia erano difficili da realizzare, adesso sembrano impossibili perché le priorità di una comunità sono sempre quelle delle classi più abbienti e meno fragili. Sopraggiunse “l’Articolo Quattro”, la nuova benefica legge, per la quale certi malati non pericolosi venivano dichiarati liberi cittadini, a loro decisione l’entrata e l’uscita dall’ospedale, persone abbisognevoli di cure non di vincoli. La rivoluzione travolse le famiglie, non fu facile accettare l’idea che il loro congiunto non fosse più quell’elemento pericoloso “fuori di testa” e Tobino, con grande dolcezza, racconta dell’espediente usato dagli infermieri per permettere ad una ospite di ritornare a casa, da suo marito che l’aspettava con immutato amore e da una figlia che invece era contraria. “Siamo qui di passaggio. Ora i malati sono liberi, siamo in gita. Per caso siamo passati di qui. Come riconosceva questi posti! Ci ha indicato la casa”. Non è facile convivere con la malattia mentale che, nella fase di acuzie, non ha regole, né confini. È un inferno nel quale viene trascinato l’intero nucleo familiare, è una sanguisuga vorace che prosciuga gli animi, è una stanza senza più luce. In psichiatria non si può e non si deve considerare solo il malato, ma l’intero gruppo famiglia deve essere preso in carico, attivando percorsi di sostegno e di formazione per superare le difficoltà che sono presenti e fanno parte di ogni piccola comunità, ma che nel disagio mentale trovano espressività più intense, gravate da una fatica fisica ed emotiva che fa di ogni caregiver una sorta di sopravvissuto alla catastrofe.


 

sabato 15 agosto 2020

L'incanto del pesce luna

Per la prima volta nella mia vita sono andata subito a comprare un libro dopo aver letto poche righe di recensione. E per subito intendo un calcio alle pantofole e scarpe da ginnastica infilate maldestramente sotto una mise da casalinga afflitta. Il mio amico Luciano Sartirana aveva scritto su facebook poche illuminanti parole: da ben 35 squisiti minuti ho iniziato a leggere “L’incanto del pesce luna” di Ade Zeno. Quel squisiti mi aveva folgorato, non era sicuramente la prima parola che gli era balzata in mente, c’era tanto di più. Non aveva parlato di 35 bei minuti, o di 35 piacevoli minuti, o di 35 stupendi minuti. Squisiti. Un aggettivo così carico di eleganza, raffinatezza, delicatezza, niente da divorare ma da centellinare, assaporare un po’ alla volta.

Ho evitato di leggere la trama, le recensioni in rete, i commenti dei lettori. Non sapevo niente, un pavimento tirato a lucido pronto ad accogliere i passi di qualcuno.  L’incipit mi ha disorientata costringendomi a procedere con calma, ritornando indietro, rileggendo brevi frasi. C’erano alcuni indizi rivelatori che istintivamente ho preferito ignorare, perché troppo intensi nel significato e apparentemente distanti dal titolo con il suo mix di stupore, magia e sogno.

Di colpo ho attraversato la distanza che separa gli occhi dal libro per essere risucchiata nella storia, inseguendo il protagonista Gonzalo, dal lavoro così particolare: cerimoniere in una società per cremazione. Ecco il primo incanto, descrivere con eleganza una professione per la quale sono state spesso coniate parole denigratorie nei vari dialetti: schiattamuorto, becamort, mvussamùrt, interramortos. Gonzalo ha bisogno di guadagnare di più per pagare le cure alla figlia Ines, affetta da una malattia che, dall’età di otto anni, la costringe a letto in uno stato vegetativo. Gli extra fanno parte di un lavoro che va oltre la comune immaginazione riportando alla mente le atmosfere di Edgar Allan Poe.

Il secondo incanto è il tenero e delicato cerimoniale che Gonzalo riserva alla figlia, ormai grande, quando è il suo turno di visita. Le soffia delicatamente sul viso, controlla l’ago-cannula, le sistema le lenzuola; a quel punto entra di scena un registratore portatile che riproduce un vecchio film di Gene Kelly. Ecco il terzo incanto che coinvolge il lettore. Quel film in bianco e nero che la Rai mandava in onda ogni estate, al termine della scuola, insieme ad altri musical hollywoodiani, in una no-stop mattutina. Ne vengono descritti i passi di danza, le espressioni del volto, con il sottofondo della pioggia ed è sorprendente come si crei una magia che ti porta dentro al film alla maniera di Mary Poppins al parco con Bert.

Il quarto incanto è la storia del pesce luna, così delicata in un’atmosfera malinconica, una favola tra le tante che Gonzalo aveva inventato per la figlia quando ancora la malattia non era presente in tutta la sua progressiva drammaticità. Il quinto incanto è lo stile del racconto, mai banale, e poi l’assenza delle virgolette del discorso diretto a confermarne l’originale magia. Effettivamente è un libro squisito in una pletora di romanzi spesso grossolani, all’inseguimento dei trend del momento, all’interno di un ingranaggio perverso che li consuma senza che ne rimanga traccia. 

 

sabato 8 agosto 2020

Nemesi

Scritto dieci anni fa, Nemesi di Philip Roth ci fa rivivere le emozioni della prima ondata di infezioni da Covid-19. È l’estate del 1944 e una terribile epidemia di poliomielite fa numerose vittime tra i giovanissimi della città di Newark. Arnold Mesnikoff è tra i ragazzi che seguono con ammirazione Bucky Cantor, giovane allenatore di softball, fortemente motivato a rendersi utile per coloro che non possono andare in vacanza fuori città. È solo alla fine del romanzo che si comprende che la voce narrante è proprio quella di Arnold, ormai grande che, come il coach Bucky, è stato gravemente colpito dalla polio durante quella maledetta estate.

La poliomielite è una malattia da enterovirus il cui principale serbatoio di infezione si trova nel tratto gastrointestinale umano. Esistono tre sottotipi e, prima della vaccinazione, il tipo 1 era responsabile dell’85% dei casi di malattie paralitiche. La via di trasmissione è orale e oro-fecale. I virus si moltiplicano nella faringe e nell’intestino durante il periodo di incubazione, per poi passare nel sangue e diffondere in tutto l’organismo. Il virus continua ad essere escreto nella saliva per due o tre giorni e nelle feci per altre due o tre settimane. Prima della vaccinazione, la malattia aveva una distribuzione mondiale. Le epidemie comparivano durante l’estate ed erano più frequenti nei climi temperati dell’emisfero settentrionale, con una maggiore incidenza nelle aree con scarsa igiene. La fase iniziale poteva essere scambiata per una banale influenza con febbre, faringite, mialgie, nausea, vomito; dopo si sviluppava la paralisi muscolare che, nei casi più gravi, era totale. L’infezione colpiva soprattutto i bambini sotto i cinque anni di età. Solo l’1% dei malati di polio sviluppava la forma più grave; tra gli elementi favorenti: l’esercizio fisico vigoroso ed esagerato, la presenza di ferite o lesioni, le iniezioni intramuscolari. E questi tre fattori si ritrovano nella narrazione di Roth.

Se non avessimo sperimentato la paura e la preoccupazione costante dei due mesi di lockdown, la lettura di Nemesi ci avrebbe affascinato, ma niente di più. Invece, ogni emozione viene assorbita con intensità e ci si accorge che, qualunque sia la causa dell’infezione, le reazioni sono le stesse in qualsiasi epoca storica. La nonna stava raccontando di quando le vittime della pertosse dovevano portare dei bracciali, e di come, prima che si trovasse un vaccino, la malattia più temuta in città fosse la difterite. Nei giorni in cui la televisione ha riportato il bollettino dei contagiati e dei decessi, i più anziani hanno ricordato l’infezione asiatica che nel 1968 mise a letto milioni di italiani e causò la morte di circa 20.000 persone. Per la pandemia spagnola sono stati rispolverati articoli di giornali, foto d’epoca, diari di famiglia, racconti passati di bocca in bocca e perciò arricchiti di particolari da renderli epici.

È strano come nel romanzo il focolaio dell’infezione colpisca dapprima la comunità italiana di Newark. Il ruolo di untori ci appartiene dalla prima ondata di peste nera che si scatenò in Europa tra il 1347 e il 1348 causando circa 30 milioni di morti. L’infezione, partita dalla Mongolia, arrivò a Caffa in Crimea, colonia della Repubblica di Genova e da qui, per mezzo delle navi, a tutta l’Europa. In Nemesi, due auto piene di ragazzi dai quindici ai diciotto anni si fermano al campo giochi del quartiere ebraico. Quello che ha tutta l’aria di esserne il capobanda si avvicina tronfio al gruppo di giovani fermi accanto a Bucky. – Che volete? – disse Mr. Cantor. Veniamo ad attaccare la polio – rispose uno degli italiani. E come sfida sputa sul marciapiede, a pochi centimetri dalla punta delle scarpe da ginnastica di Mr. Cantor. Dopo qualche giorno due fra i ragazzi presenti non si presentano al campo per giocare: hanno la febbre e il torcicollo. Sono i primi contagiati del gruppo. Parte la caccia agli infetti che si trasforma in isteria collettiva. Cartelli con scritto “quarantena” vengono messi davanti alle case dei malati e questo scatena le peggiori azioni dei vicini per la paura di morire, a sua volta causata da tanta disinformazione. Dovrebbero controllare il latte che bevono quei ragazzini…la polio viene dalle vacche sporche e dal loro latte infetto. No – disse qualcun altro – non sono le vacche…sono le bottiglie. […] Perché non fanno come quando ero piccolo io? Ci legavano al collo delle palline di canfora. C’era una roba che puzzava, la chiamano assafetida…magari funzionerebbe. Basta tornare indietro con la mente di pochi mesi per ritrovare frasi simili e consigli assolutamente pericolosi tipo fare gargarismi con acqua e candeggina che ha causato centinaia di accessi al pronto soccorso per intossicazione acuta. Per non parlare dei rimedi miracolosi, l’ultimo dei quali usato dall’arcivescovo di Douala, in Camerun, con il quale sembra abbia salvato oltre 6000 malati.

In Nemesi si hanno poche informazioni sulla poliomielite ed i medici cercano di agire sulla base delle poche informazioni presenti. La polio viene da un virus. Forse della polio non sappiamo molto, però questo lo sappiamo. Ovunque i ragazzini d’estate fanno giochi agitati all’aperto e, anche nel corso di un’epidemia, solo una percentuale molto piccola muore…la morte deriva dalla paralisi respiratoria, che è relativamente rara. Mica tutti i bambini a cui viene mal di testa si prendono una polio paralizzante. Per questo è importante non esagerare il pericolo e comportarsi normalmente […] Non sappiamo cosa uccide i germi della polio, - disse il dottor Steinberg. Non sappiamo chi o cosa porti la polio, e si discute ancora di come faccia a entrare nel corpo.

Il passare dei giorni porta ad un vero bollettino di guerra con tutte le conseguenze ad essa legate: l’annientamento, la distruzione, il massacro, la dannazione. È una terribile guerra contro i bambini. Alle indicazioni sanitarie da seguire per contenere la diffusione dell’infezione, si accende il dibattito generale. Il sindaco di Newark chiede la quarantena di tutta la zona di Weequahic. Non possono mica chiudere la gente in gabbia in questo modo, dice la nonna di Bucky.  Spinto dalle insistenze della sua fidanzata, che lavora come educatrice in un campo estivo, ben lontano dal focolaio, per ragazzi di famiglie abbiente, Bucky lascia il suo incarico per raggiungerla. Ma il senso di colpa comincia a tormentarlo, si sente un traditore per aver abbandonato i suoi allievi nel momento del bisogno. È solo verso la fine della storia che la parola nemesi acquista il più atroce significato cambiando per sempre la sua vita. Ci si può sentire vittima e carnefice, un personaggio carico di tutti i mali, in un’altalena di disperazione e vergogna.