Tre racconti sulla follia, tre modi di descrivere
pensieri, emozioni e che ci permettono di guardarla da diverse angolazioni.
In “Memorie di un pazzo” di Gogol, la prima domanda che
sorge spontanea è: quali possono essere le memorie di un folle? Sono tali o
frutto del delirio? Anche i pazzi fanno parte della categoria dei diversi, di
chi è altro rispetto allo standard. Ogni loro gesto, pensiero, viene interpretato
alla luce della malattia, svilendo la loro essenza: quella di essere umano
Aksentij Ivanovic è un modesto impiegato addetto a fare
la punta alle matite del mega-direttore-burocrate. Il servilismo che induce e
consacra l’arroganza del potente non può non riportare alla mente la figura di
Fantozzi, anche lui invisibile, ignorato, deriso dai colleghi e invaghito,
senza speranza, della signorina Silvani che forse sa e fa finta di non capire,
così come la figlia del burocrate russo.
Nel racconto di Gogol il delirio viene innescato proprio
dall’amore non corrisposto. Il protagonista pensa di poter ottenere tutte le
informazioni sulla giovane donna, su quello che fa ma soprattutto su quello che
pensa, dalla conversazione tra due cani, uno dei quali è Maggie, la cagnetta di
lei.
Era un po’ di tempo
che sospettavo che il cane fosse molto più intelligente dell’uomo (…) Il cane è
un politico straordinario: nota tutto, vede tutti i passi dell’uomo
Riesce così ad intercettare le lettere che i due animali
si scambiano scoprendo la scarsa considerazione che tutti hanno di lui, a
partire proprio dal cane (!) e le imminenti nozze della ragazza con un
gentiluomo di camera, l’anonimo kamer-junker del racconto.
Le emozioni suscitate da queste informazioni deliranti lo
fanno sprofondare in un paradosso schizofrenico dal quale emerge come re di
Spagna.
In Spagna c’è un
re. È stato trovato. Questo re sono io. (…) Non capisco come è stato possibile
che io pensassi e mi immaginassi di essere un consigliere titolare. Come è
potuto entrare nella mia testa un pensiero così strampalato? È una fortuna che
nessuno abbia pensato di mettermi in manicomio
A questo punto comincia a firmarsi come “Ferdinando VIII”
e trasforma la sua divisa da impiegato in un manto regale. Così vestito viene
accompagnato nell’unico luogo possibile: il manicomio, appunto.
Sono un uomo
ridicolo. Adesso dicono che sono matto. Inizia così il racconto di
Dostoevskij “Il sogno di un uomo ridicolo”, una narrazione in prima persona di
un uomo che, giunto alla totale indifferenza per ciò che lo circonda, decide di
suicidarsi.
D’un tratto ho
sentito che per me sarebbe stata assolutamente la stessa cosa, che il mondo
esistesse oppure non ci fosse niente.
Il giorno scelto per farla finita è anche quello in cui
viene a conoscenza della Verità. Mentre rientra in casa, una bambina gli corre
incontro chiedendogli aiuto per la madre ma lui, preso dal fatale proposito, la
scaccia via. Sente però dentro di sé vergogna per il cattivo comportamento adottato,
che sembra non far parte di lui, e pietà per la piccola. Sono sentimenti che contrastano
con l’indifferenza che pensava di possedere. Si addormenta e sogna di uccidersi,
sparandosi al cuore. Un angelo lo prende dalla tomba nella quale viene deposto
e lo porta in un altro pianeta, esatta copia della Terra
Il pianeta che si trova a esplorare è un vero e proprio
Eden dove esiste la felicità, frutto dell’incoscienza. Sui volti degli uomini
che vi abitano brilla infatti un’allegria infantile, priva di sovrastrutture,
una gioia che non chiede perché, che non vuole indagare oltre.
L’arrivo dell’uomo, così come l’ingresso di un corpo estraneo
in un organismo ben funzionante, provoca delle modificazioni tali da
stravolgere le caratteristiche di quel pianeta che diventa proprio come la
Terra.
In quella società felice comincia ad insinuarsi la
menzogna e successivamente la lussuria, la gelosia, la crudeltà. La vergogna
viene innalzata a virtù, nasce il concetto di onore e con lui il formarsi delle
associazioni, cioè gruppi di persone sotto una stessa bandiera.
La degenerazione ad ogni livello, con un meccanismo folle
e perverso, porta alla conoscenza, cioè al desiderio di capire e interpretare
il male, così che dalla cattiveria nasce l’idea di umanità e fratellanza, dalla
crudeltà la giustizia.
In questo pianeta, prima felice e fantastico, scoppiano
le guerre e non rimane nulla della bellezza primigenia, diventando una stupida
copia della Terra, dove il sapere è più forte del sentimento.
Al risveglio il protagonista decide di andare per il
mondo a predicare la Verità, sottendendo con questo la convinzione che lo
scrittore abbia il compito di aiutare l’Umanità a comprendere, perseverando in
questo suo anelito anche quando viene considerato pazzo, se non ridicolo.
Oggi mi hanno
portato a visitare alla direzione di governatorato. Han litigato e alla fine
hanno deciso che non sono pazzo.
È questo l’incipit di “Le memorie di un pazzo” di
Tolstoj. Il protagonista è convinto di esserlo nonostante i pareri contrari e
racconta episodi dell’infanzia che considera campanelli d’allarme della sua
insanità mentale, come lo spavento provato quando la bambinaia, che lui amava
tanto, fu accusata di furto, o la volta che aveva visto picchiare un bambino, o
il racconto della passione di Cristo fattogli da una zia.
La pubertà con i primi turbamenti aveva allontanato il
ricordo di questi episodi finché verso i 35 anni, in occasione di un viaggio, ha
un nuovo attacco di panico. È questa la definizione possibile dello stato
d’animo, magistralmente descritto da Tolstoj, alla luce di quanto oggigiorno
conosciamo sulle fobie e le psicosi.
La paura della morte e di un incognito che ci attende è
spesso il leit motiv di un attacco di panico, quando tutto acquista un aspetto
nuovo, particolarmente brillante oppure più oscuro, il cuore batte
all’impazzata e il proprio corpo perde consistenza. In quel momento preghi Iddio
di perdonare i tuoi peccati purché ti lasci vivere ancora. L’astenia reattiva
non ferma la volontà di cambiare vita, ultima possibilità per averla integra.
Spesso chi soffre di attacchi di panico diventa in breve tempo un cristiano
fervente, un attento lettore delle Sacre Scritture, un seguace dell’esempio di
Gesù. E infatti il racconto di Tolstoj termina con il protagonista che,
all’uscita della chiesa, regala tutto quello che possiede ad una mendicante e
va via parlando al popolo.