È piuttosto raro trovare un libro che abbia la capacità
di tenere il lettore incollato alla storia. L’ultima volta per me è stata con
Elena Ferrante.
“Come il vento tra i mandorli” è un romanzo molto ben strutturato,
ti cattura pagina dopo pagina per il sapiente uso dei colpi di scena e non
sarebbe una sorpresa vederne a breve il film, così come è stato con “Il
cacciatore di aquiloni”.
La storia di Ichmad e la sua famiglia si svolge tra il
1955 e i giorni nostri. Il libro si apre tragicamente con la morte della
sorella, sparpagliata in mille pezzi per la deflagrazione di una mina. È
l’inizio di una serie di disgrazie che mettono alla prova l’animo del
protagonista Ichmad, giustamente combattuto tra emozioni diverse. Da un lato ci
sono la madre e il fratello che lo incitano all’odio e alla vendetta,
dall’altra il padre che con la sua saggezza, anche dopo ingiustizie che lo
colpiscono in prima persona, lo spingono verso la strada della tolleranza e
della pace. È possibile la convivenza civile se ogni differenza viene
considerata un valore. Ognuno è necessario allo svolgimento del grande progetto
di vita universale.
Il libro ha il pregio di farci rivivere pezzi di storia
contemporanea che hanno riguardato l’eterna guerra tra israeliani e
palestinesi. Nel libro lo scontro religioso e ideologico è trasferito nel
conflitto tra i due fratelli, Ichmad e Abbas. La scelta non è tra le più
brillanti, ci sono centinaia, migliaia di romanzi incentrati sulla divergenza
tra fratelli ma è sicuramente il modo più immediato per far comprendere le
motivazioni che sottendono da decenni allo scontro tra questi due popoli.
La drammatizzazione è quel quid che rende la storia una
materia più digeribile rispetto al classico libro di testo.
Colpisce che l’autrice sia israeliana e abbia scritto una
storia attraverso gli occhi di un palestinese. La sua esperienza
di vita in Israele le ha permesso di vedere con i propri occhi gli effetti del
conflitto, le occupazioni armate da parte dell’esercito israeliano dei
territori assegnati alle popolazioni arabe. Questo l’ha spinta ad abbracciare
la causa della pace tra le due popolazioni attraverso l’arte.
È forse questo aspetto che mi piace
dell’autrice, la convinzione che l’arte, in ogni sua manifestazione, sia un
sistema comunicativo universale, che non sottende a ideologie politiche o
religiose.
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