Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

sabato 23 gennaio 2021

Primo amore

 Il mio primo ricordo di Samuel Beckett risale al liceo. All’epoca ero appassionata di George Bernard Shaw, tanto da portarlo all’esame di maturità, rigorosamente in inglese. Come in ogni classe che si rispetti, c’era una sfida tra una mia compagna, affascinata da Samuel Beckett, e me. La competizione fra noi mi aveva fatto scartare Beckett a priori.

Un paio di anni fa questo autore – straordinario, lo confesso – è piombato nella mia esistenza e da allora esce sempre vincente ad ogni confronto letterario. I suoi libri sono sottolineati, con note a margine, con rimandi alla mia esperienza clinica e personale. Su di lui sono stati scritti centinaia di saggi, ogni frase è stata vivisezionata e sono scesi in campo esperti in varie discipline umanistiche. Tutto assolutamente giusto, manca però un aspetto importantissimo, che non può essere tralasciato e che presenta analogie con altri scrittori, ad esempio Borges: la sua neurodiversità. Se la sua vita offre spunti interessanti in questo senso (consiglio di leggere le uniche due biografie in italiano), i suoi prodotti letterari sono una palestra in chi ha interesse a comprendere lo schema mentale in una persona con autismo ad alto funzionamento. Quello che si evidenzia è ciò che io chiamo verismo senza empatia, ossia la capacità di descrivere l’esterno e l’interno senza emozione, senza il minimo coinvolgimento; pura descrizione che segue quello che i suoi sensi registrano in maniera asciutta. Beckett non aggiunge niente di suo alla narrazione e i suoi personaggi sono autentici, in pensieri e azioni.

“Primo amore” è una novella che apre la raccolta di altre tre e dei tredici “Testi per nulla”, che Einaudi ha unito in un unico volume. Il denominatore comune delle opere è l’allontanamento, lo sfratto, sia forzato che volontario. Il protagonista di “Primo amore” viene messo alla porta dai fratelli alla morte del padre. La cosa lo stupisce ma non provoca alcuna reazione emotiva, tanto che l’assurdità della situazione fornisce considerazioni ironiche

Un giorno, ritornando dal W. C., trovai la porta della mia camera chiusa a chiave, e le mie cose ammucchiate davanti alla porta. Questo vi dice quanto ero stitico all’epoca.

Parlare di fenomeni fisiologici (defecazione, minzione, masturbazione), così come di sesso, non ha lo scopo di stupire il lettore, di stimolarne il prurito. Essi succedono, fanno parte della vita degli esseri umani, sono fenomeni naturali, privi di malizia ed erotismo

Io le presi il braccio, per curiosità, per vedere se questo mi avrebbe fatto piacere, ma non mi fece alcun piacere, allora lo mollai

Per una persona con neurodiversità, ad ogni azione deve corrispondere qualcosa di verificabile con i sensi, altrimenti risulta inutile e priva di significato.

Quando non sanno più che fare, si spogliano e senza dubbio è quanto di meglio hanno da fare. Si tolse tutto con una lentezza da stuzzicare un elefante, salvo le calze, destinate senza dubbio a portare al colmo la mia eccitazione. Fu allora che mi accorsi del suo strabismo. Fortunatamente non era la prima volta che vedevo una donna nuda, potei dunque restare, sapevo che non sarebbe esplosa.

La prima frase potrebbe far insorgere le femministe. Niente di più sbagliato in quanto il protagonista racconta ciò che ha sperimentato, i tentativi erotici della donna che non provocano in lui alcuna eccitazione. Lo strabismo spezza l’improbabile incantamento, quale elemento che emerge dalla normalità, da una consuetudine. Non si hanno le manifestazioni ansiose che rappresentano la conseguenza dell’interruzione improvvisa di una routine, in quanto il protagonista (tra le altre cose, privo di nome!) è un autistico ad alto funzionamento che introduce meccanismi adattativi diversi

Ho visto visi in fotografia che avrei forse potuto chiamare belli, se avessi avuto qualche dato sulla bellezza

L’astrazione non fa parte dello schema mentale dell’autismo. Non viene in aiuto nemmeno la sezione aurea, una proporzione matematica che viene apprezzata inconsciamente e che consente di affermare che una cosa è bella in quanto armonica. Nella neurodiversità tutto deve essere vero, concreto, definito, apprezzato con i sensi.

“Primo amore” è il racconto di un amore che potremo definire sui generis, se non coinvolgesse un autistico. La donna cambia addirittura nome nel corso della narrazione e rimane il dubbio se sia una prostituta o meno. Il protagonista viene accolto nella casa di Lulu, poi Anne, e invece di dividere il letto con lei, preferisce andare nel salotto che immediatamente stravolge nell’arredamento, rendendolo funzionale al suo schema mentale: lascia solo il divano con le sedute rivolte verso il muro, così da costringerlo a scavalcare lo schienale per sdraiarsi. Questo particolare fa venire in mente la macchina degli abbracci di Temple Grandin, ossia uno spazio ristretto, ben definito, nel quale è possibile un contatto altrettanto vero. La restante mobilia è messa sul corridoio perché inutile, non funzionale: il protagonista deve dormire, non fare attività sociale e ricevere ospiti.

Tutto crolla quando Anne gli dice di essere incinta, che il bambino è suo e giornalmente gli mostra i cambiamenti del suo corpo. La pressione emotiva lo destabilizza e raggiunge il massimo con il travaglio di parto. A quel punto non gli resta altro da fare che allontanarsi.

Mi faceva male, lasciare una casa senza che mi sbattessero fuori. Mi lasciai scivolare dal disopra dello schienale del sofà, mi misi la giacca, il cappotto e il cappello, non dimenticai niente, allacciai le stringhe e aprii la porta che dava sul corridoio.

Un finale che per certi versi ricorda “Murphy” , nel quale l’allontanamento è definitivo, e che ritroviamo anche nelle altre novelle della raccolta.


 

sabato 9 gennaio 2021

La suora giovane

Il romanzo “La suora giovane” è stato pubblicato nel 1959, anno della mia nascita. Ammetto che nella scelta di cosa leggere ci sono particolari che mi incuriosiscono e questo era uno, subito dopo il titolo che racchiude in sé quel tanto di mistero, di sottintesi che mi spingono ad approfondire. La curiosità, quella intimamente collegata con il sapere, è il mio carburante. Potrei passare un giorno intero seduta alla scrivania a scavare nella profondità delle cose, piacevolmente persa nel labirinto della mia mente, in quelle porte che si aprono svelando stanze sempre diverse, una dopo l’altra.

L’atmosfera di attese, sguardi e il palpabile desiderio dei due protagonisti si dipanano tra il 10 dicembre e il 2 gennaio in una Torino deserta, poco illuminata, percorsa da venti gelidi. Antonio è un 40enne celibe, impiegato; ha una donna con la quale si incontra, ma che non ha nessuna intenzione di sposare, e una collega di lavoro che suscita in lui desideri erotici, mai consumati. Serena è una novizia, molto giovane, di appena 19 anni, che presta assistenza notturna ad un notaio moribondo.

I due protagonisti si incontrano ogni sera alla fermata del tram 21. Dapprima Antonio non fa caso alla suora, ma la sua presenza costante e il suo aspettare nel caso faccia ritardo, fanno scattare l’interesse e il desiderio, quest’ultimo alimentato da un comportamento vezzoso che ha ben poco di spirituale. All’inizio non si parlano, Antonio non ne ha il coraggio, intimorito dalla situazione. Come spesso accade, è la donna che crea le condizioni adatte affinché l’uomo possa recitare la propria parte, come da copione universale.

Non voglio proseguire con la trama perché il libro merita di essere letto, esercitando il proprio fascino. Voglio fare una riflessione sul coraggio dell’autore di trattare un argomento che 62 anni fa era sicuramente spinoso, e di essere riuscito a trasformare il personaggio angelicato di Serena in una dark lady consapevole del proprio charme sull’anonimo travet. Dal libro è stato tratto un film del 1964 dove la scelta dell’attore che interpreta Antonio non è delle più azzeccate perché non incarna quanto trasmesso da Arpino, ma che rappresenta un valido esempio della cinematografia di quegli anni.


 

giovedì 7 gennaio 2021

Donne dell'anima mia

L’ultimo libro di Isabel Allende è una chiacchierata piacevole che scorre via fino all’ultima pagina, senza un rallentamento e con spunti di riflessione condivisibili da ogni età. È un libro che ogni madre dovrebbe regalare alla propria figlia come memoria testamentaria di generazioni di donne che hanno cercato di scardinare un modo di pensare e agire, riuscendoci in parte, anche a prezzo della vita.

A cosa fa riferimento il femminismo? Non certo a ciò che abbiamo in mezzo alle gambe, bensì tra le orecchie. È un atteggiamento filosofico di ribellione.

Essere donna è un pensare diverso, meno rigido, più fluido, in grado di adattarsi alla contingenza, mantenendo la propria autenticità, come l’acqua contenuta in un vaso. La donna non impone, media; ha una volontà eroica, retaggio di secoli di oppressione e violenza legalizzati dalla comunità sessista. Se il mondo esiste è grazie a lei, l’unica biologicamente destinata, la sola che nel proprio ambiente porta avanti una filosofia di vita e di crescita evolutiva.

Il mondo femminile è a colori, in continua trasformazione di forma e sostanza. Non è facile essere donna in un mondo machista. Ricordo ancora le parole di un primario che, in riunione con assistenti e tirocinanti del suo reparto disse: «La Rovere (non si parla mai di dottoressa quando ci si riferisce ad una donna) è molto brava, più di tutti voi messi insieme, ma è una donna e non la posso assumere perché farà un figlio e ogni mese ha le mestruazioni», avvalorando, senza averne alcuna vergogna, come i concorsi fossero pilotati, soprattutto a favore dei maschi. Voglio pensare che le nuove generazioni di dottoresse abbiano una vita più semplice di chi le ha precedute e ha combattuto contro un muro granitico di preconcetti.

Da buona lettrice quale ero, avevo imparato dai libri che il mondo è in continuo cambiamento e l’umanità si evolve.

È una frase che ho sottolineato perché la donna che sono è il risultato della possibilità di leggere, del valore che la mia famiglia ha sempre dato alla cultura, strumento di scelta e libertà, di una famiglia che, nonostante i maschi fossero quasi tutti militari di carriera, si è trasformata nel tempo grazie all’azione mediatrice di donne intelligenti. Come si dice, Richelieu ci spiccia casa!

La felicità non è esuberante, né chiassosa, come l’allegria e il piacere; è silenziosa, tranquilla, morbida

Mi ritrovo in queste parole. Dopo anni di lotte, sofferenze, esperienze forti che hanno lasciato il loro segno senza piegarmi, godo dei momenti di felicità senza l’avidità della giovinezza, grata di quanto ho vissuto e per quello che resta.