Il mio primo ricordo di Samuel Beckett risale al liceo.
All’epoca ero appassionata di George Bernard Shaw, tanto da portarlo all’esame
di maturità, rigorosamente in inglese. Come in ogni classe che si rispetti,
c’era una sfida tra una mia compagna, affascinata da Samuel Beckett, e me. La
competizione fra noi mi aveva fatto scartare Beckett a priori.
Un paio di anni fa questo autore – straordinario, lo
confesso – è piombato nella mia esistenza e da allora esce sempre vincente ad
ogni confronto letterario. I suoi libri sono sottolineati, con note a margine,
con rimandi alla mia esperienza clinica e personale. Su di lui sono stati
scritti centinaia di saggi, ogni frase è stata vivisezionata e sono scesi in
campo esperti in varie discipline umanistiche. Tutto assolutamente giusto,
manca però un aspetto importantissimo, che non può essere tralasciato e che
presenta analogie con altri scrittori, ad esempio Borges: la sua
neurodiversità. Se la sua vita offre spunti interessanti in questo senso
(consiglio di leggere le uniche due biografie in italiano), i suoi prodotti
letterari sono una palestra in chi ha interesse a comprendere lo schema mentale
in una persona con autismo ad alto funzionamento. Quello che si evidenzia è ciò
che io chiamo verismo senza empatia, ossia la capacità di descrivere
l’esterno e l’interno senza emozione, senza il minimo coinvolgimento; pura
descrizione che segue quello che i suoi sensi registrano in maniera asciutta.
Beckett non aggiunge niente di suo alla narrazione e i suoi personaggi sono
autentici, in pensieri e azioni.
“Primo amore” è una novella che apre la raccolta di altre
tre e dei tredici “Testi per nulla”, che Einaudi ha unito in un unico volume.
Il denominatore comune delle opere è l’allontanamento, lo sfratto, sia forzato
che volontario. Il protagonista di “Primo amore” viene messo alla porta dai
fratelli alla morte del padre. La cosa lo stupisce ma non provoca alcuna
reazione emotiva, tanto che l’assurdità della situazione fornisce
considerazioni ironiche
Un giorno, ritornando dal W. C., trovai la porta della
mia camera chiusa a chiave, e le mie cose ammucchiate davanti alla porta.
Questo vi dice quanto ero stitico all’epoca.
Parlare di fenomeni fisiologici (defecazione, minzione,
masturbazione), così come di sesso, non ha lo scopo di stupire il lettore, di
stimolarne il prurito. Essi succedono, fanno parte della vita degli esseri
umani, sono fenomeni naturali, privi di malizia ed erotismo
Io le presi il braccio, per curiosità, per vedere se
questo mi avrebbe fatto piacere, ma non mi fece alcun piacere, allora lo mollai
Per una persona con neurodiversità, ad ogni azione deve
corrispondere qualcosa di verificabile con i sensi, altrimenti risulta inutile
e priva di significato.
Quando non sanno più che fare, si spogliano e senza dubbio
è quanto di meglio hanno da fare. Si tolse tutto con una lentezza da stuzzicare
un elefante, salvo le calze, destinate senza dubbio a portare al colmo la mia
eccitazione. Fu allora che mi accorsi del suo strabismo. Fortunatamente non era
la prima volta che vedevo una donna nuda, potei dunque restare, sapevo che non
sarebbe esplosa.
La prima frase potrebbe far insorgere le femministe. Niente
di più sbagliato in quanto il protagonista racconta ciò che ha sperimentato, i
tentativi erotici della donna che non provocano in lui alcuna eccitazione. Lo
strabismo spezza l’improbabile incantamento, quale elemento che emerge dalla
normalità, da una consuetudine. Non si hanno le manifestazioni ansiose che
rappresentano la conseguenza dell’interruzione improvvisa di una routine, in
quanto il protagonista (tra le altre cose, privo di nome!) è un autistico ad
alto funzionamento che introduce meccanismi adattativi diversi
Ho visto visi in fotografia che avrei forse potuto
chiamare belli, se avessi avuto qualche dato sulla bellezza
L’astrazione non fa parte dello schema mentale dell’autismo.
Non viene in aiuto nemmeno la sezione aurea, una proporzione matematica che
viene apprezzata inconsciamente e che consente di affermare che una cosa è
bella in quanto armonica. Nella neurodiversità tutto deve essere vero,
concreto, definito, apprezzato con i sensi.
“Primo amore” è il racconto di un amore che potremo definire
sui generis, se non coinvolgesse un autistico. La donna cambia addirittura nome
nel corso della narrazione e rimane il dubbio se sia una prostituta o meno. Il
protagonista viene accolto nella casa di Lulu, poi Anne, e invece di dividere
il letto con lei, preferisce andare nel salotto che immediatamente stravolge
nell’arredamento, rendendolo funzionale al suo schema mentale: lascia solo il
divano con le sedute rivolte verso il muro, così da costringerlo a scavalcare
lo schienale per sdraiarsi. Questo particolare fa venire in mente la macchina
degli abbracci di Temple Grandin, ossia uno spazio ristretto, ben definito, nel
quale è possibile un contatto altrettanto vero. La restante mobilia è messa sul
corridoio perché inutile, non funzionale: il protagonista deve dormire, non
fare attività sociale e ricevere ospiti.
Tutto crolla quando Anne gli dice di essere incinta, che il
bambino è suo e giornalmente gli mostra i cambiamenti del suo corpo. La
pressione emotiva lo destabilizza e raggiunge il massimo con il travaglio di
parto. A quel punto non gli resta altro da fare che allontanarsi.
Mi faceva male, lasciare una casa senza che mi
sbattessero fuori. Mi lasciai scivolare dal disopra dello schienale del sofà,
mi misi la giacca, il cappotto e il cappello, non dimenticai niente, allacciai
le stringhe e aprii la porta che dava sul corridoio.
Un finale che per certi versi ricorda “Murphy” , nel quale
l’allontanamento è definitivo, e che ritroviamo anche nelle altre novelle della
raccolta.