“La ragazza di nome Giulio” è un romanzo del 1964, io
avevo cinque anni ma ricordo come se fosse ora quando mia madre lo comprò per
leggerlo, incuriosita dal clamore che aveva suscitato. Ricordo anche che venne
messo sui ripiani più alti della libreria, nascosto da altri volumi.
Era un libro che aveva fatto tanto discutere in famiglia.
L’aveva letto anche mio padre bollandolo come pornografico. La fantasia di una
bambina non poteva che esserne colpita. Quel libro, messo in alto insieme alle
riviste Cosmopolitan dei primi anni 70 - che affrontavano argomenti considerati
sconvenienti – e al disco “Je t’aime moi non plus”, mi aveva sempre stuzzicato
ma poi i giochi con le amiche erano stati un richiamo maggiore. Non era ancora
arrivato il tempo dei pruriti, delle
domande rimaste sempre senza risposta.
Qualche giorno fa il libro mi è tornato tra le mani, un
po’ impolverato, con le pagine ingiallite, la copertina dura delle edizioni di
un certo pregio, il modico prezzo di 1600 lire. Confesso di averne intrapreso
la lettura con un pizzico di eccitazione trasgredendo, a distanza di più di 50
anni, il divieto di mio padre.
È un romanzo di formazione sentimentale di una
adolescente già segnata da un nome maschile – Jules – che tutto sommato non
sarebbe poi così male, se non fosse per l’ovvia traduzione a volerne forzare la
mano, condizionando un’esistenza controcorrente.
Le domande, la curiosità, i dubbi che l’assalgono
riguardo l’amore e l’eros sono perfettamente in linea con l’età biologica,
certo non con l’epoca storica, tant’è che la scrittrice venne condannata a sei
mesi di reclusione per offesa al comune senso del pudore, il libro censurato e
sequestrato. Nella sentenza il giudice dichiarò pienamente fondata l’accusa, proclamando il libro osceno in senso
tecnico-giuridico e a dichiarare assolutamente inapplicabile allo stesso la
discriminante dell’opera d’arte. Riguardo la protagonista, affermò: Niente giustifica il farneticare sconnesso o
l’automatismo delirante di questo manichino che alla cattiveria inconscia
dell’infante, accoppia l’egocentrismo pericoloso del rimbambito, edulcorato
solo da una lascivia animalesca quanto sfrenata e orripilante. Ma che libro
ha letto? viene da chiedersi. E anche: non è più oscena la sua analisi in
questo italiano ridondante e senza senso?
Le esperienze sentimentali narrate sono state vissute più
o meno direttamente da ognuno di noi. Negarlo è antieducativo e alimenta tutto
un sotterraneo di perversione. Un mondo di divieti ha partorito persone
insicure, che hanno fatto della violenza fisica e psicologica il loro
passaporto per essere qualcuno.
Amore ed eros possono convivere come aspetti
dell’esistenza. Sono un bagaglio esperienziale importante per il raggiungimento
dell’equilibrio. L’uno che nega l’altro ha sempre prodotto disastri.
Il fascino del libro risiede anche nell’ambientazione, nel
racconto di una parte della popolazione priva di ogni preoccupazione economica
nonostante ci si trovasse in pieno periodo bellico. La monotonia era interrotta
da vacanze, trasferimenti in altra città, giornate intere spese a sciare
d’inverno e a fare il bagno d’estate. La noia sembra scolorire ogni cosa.
Il finale, anch’esso criticato e giudicato fantasioso, è
perfettamente coerente con il contenuto, con la personalità della protagonista.
Ancora oggi, nel ventunesimo secolo, esistono adolescenti
come lei, abbandonate da genitori immaturi.
Niente cambia e la frase ai nostri tempi era diverso, che ho sentito centinaia di volte
durante la mia giovinezza, non può che farmi sorridere.
Un pensiero al giorno
La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)
venerdì 22 gennaio 2016
La ragazza di nome Giulio
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