Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

venerdì 2 ottobre 2020

Il manicomio di Pechino

Meglio di qui il senatore dove vivrebbe? Alloggiato, nutrito, tutte le ore libere ad ascoltare e poi riflettere sulle notizie del mondo? In quale altro luogo potrebbe manifestare così francamente tutto se stesso, quale la natura lo ha creato? Fuori dal manicomio sarebbe certamente beffato, in continua ira, ribellione e la conclusione sarebbe una condanna, il carcere.

Voglio iniziare dal fondo di questo splendido libro. Senatore è il soprannome dato ad un ricoverato che, all’età di diciotto anni, aveva cominciato a sentirsi tale, un atteggiamento che metteva fortemente a disagio il padre. Furono provate diverse medicine senza alcun risultato, finché venne rinchiuso nel manicomio. Qui aveva trovato la sua dimensione; passava le giornate ad ascoltare le notizie alla radio, nessuno che lo contraddiceva, anzi i suoi deliri venivano accolti con interesse, la comunicazione viaggiava attraverso quell’importantissimo canale. Dopo tanti anni, consapevolmente, il Senatore rifiutò di uscire perché là dentro si sentiva compreso, libero di trascorrere le ore ad inseguire elucubrazioni mentali di politica nazionale ed internazionale.

Non posso non pensare al futuro più o meno prossimo dei nostri figli con ritardo cognitivo, spesso ad aggravare un quadro di neurodiversità. Se il nostro fosse un paese veramente inclusivo, non vivremmo l’angoscia che ci assale non appena si valica il traguardo dei sessanta anni, perché ci sarebbero tante opportunità, pubbliche e private, che consentirebbero la loro e la nostra indipendenza. In realtà, nel Terzo Millennio, è cambiato molto poco e le esigue occasioni non riescono a soddisfare la domanda. Quello sul quale bisogna riflettere è la felicità di nostro figlio, in presenza di dignità. Felicità che si esprime nel cantare, nel parlare diverse lingue straniere, nel dipingere, nel tagliare la carta, nel fare sport, momenti sereni che possono essere intervallati con le quotidiane incombenze (spazzare la camera, rifare il letto, apparecchiare, sparecchiare, mettere i panni sporchi in lavatrice e poi in asciugatrice) che, disabilità o meno, sono noiose per tutti.

Alla voce “dignità” il vocabolario Treccani cita: condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso. Dignità legata alla condizione di uomo e che, secondo Eugenio Borgna, viene ferita dal dolore, dalla sofferenza, dalla indifferenza, dalla noncuranza, dal male. Il paradiso terrestre per i nostri figli dovrebbe proteggerli da tutto questo. Essere ancora costretti ad usare il condizionale è un dolore che divora ogni genitore e che ha armato la mano di chi non se l’è sentita di lasciare il proprio figlio, così amorevolmente cresciuto a discapito di ogni aspirazione personale, alla mercé del Fato.

Le cosiddette strutture protette possono andare bene se gestite da persone intelligenti, di profonda moralità, illuminate, quali furono Basaglia e lo stesso Tobino, ma siamo circondati da un deserto emotivo oltre che culturale. I nuovi medici sono figli del tempo in cui vivono, infarciti di tecnologia, di valutazioni strumentali, della molecola perfettamente incastrata al recettore per l’effetto voluto, di frasi brevi ed essenziali, della mancanza della pietas che fa di un medico un buon medico. È inutile nasconderlo: non c’è scampo.

Lo ripeto, questo è il manicomio di Pechino. Ogni tanto Tobino inserisce questa affermazione perché ciò che racconta è pesante. Il libro, pubblicato nel 1990, descrive situazioni che ormai si possono definire incancrenite, irrimediabilmente radicate nel tessuto sociale, tipo la nomina a direttore del manicomio di persone inadatte a ricoprire quel ruolo, sia per curricula che per predisposizione personale. Si tratta di scelte volute e imposte dal prelato o dal politico potente e chissenefrega del benessere dei pazienti. Infatti in Italia diventano direttori di manicomio coloro che non ci sono mai stati, che nell’ospedale non hanno abitato, non sono stati a tu per tu con i malati di mente per anni e anni.

Con queste premesse, alcune notizie che, a intervalli di tempo, rimbalzano sulle prime pagine dei giornali, indignando l’uomo medio, sono conseguenza di questo andazzo, di una qualità del lavoro sempre più scadente, di burnout che non è l’eccezione ma la regola. Ho dato chiari ordini, gli ammalati che solitamente sporcano il letto debbono essere svegliati e condotti al gabinetto, quelli che per malattia non possono alzarsi debbono essere periodicamente svegliati ed invitati a orinare nel pappagallo o facilitati con la padella. Se un ammalato sarà trovato con lenzuola imbrattate, l’infermiere sarà comunque punito. L’ammalato deve dormire nel pulito. Tutto questo è possibile se chi è responsabile di strutture psichiatriche, è attento alle esigenze del malato, come dell’operatore professionale. Occorre trattare ogni infermiere secondo il suo bisogno, in modo che almeno di un poco diventi migliore. 

In questo diario, scritto tra il 1955 e il 1956, Tobino ha affidato anche la sua apprensione all’uso del Largactil nella cosiddetta “cura del sonno”, un approccio rivoluzionario per il periodo storico. Si legge la paura, ma anche la sicurezza derivante da studi approfonditi secondo i quali era impossibile sbagliare. La grandezza di un uomo è valutata dalla percezione della propria inadeguatezza che lo spinge ad andare al fondo delle cose. In questo modo l’umanità dello scienziato diventa bellezza narrativa che arricchisce tutte le opere di Tobino.


 

Nessun commento:

Posta un commento