D’amore, d’eroina e di galera è un libro che suscita
emozioni. Le più immediate sono quelle di incredulità e sconcerto. Per quanto
si possa leggere dai giornali e farsene un’idea, la realtà del carcere supera
ogni immaginazione più sfrenata.
La storia dell’autrice, condannata negli anni 80 per uso e
spaccio di droga, si interseca con quelle di altre compagne, con le guardie
carcerarie, i medici e i direttori dei penitenziari nei quali viene trasferita.
Ciò che sorprende è scoprire che il carcere è solo un luogo
dove le alienazioni peggiorano, dove la follia entra silenziosamente fino alla
deflagrazione totale e alla morte e dove è possibile continuare a farsi di
eroina. Un controsenso che forse ha la spiegazione nel cercare di tenere tutti
sotto controllo, nel rendere questa esperienza il meno devastante sia per chi è
al di qua che al di là delle sbarre. Niente cambia e tutte le belle parole su
rieducazione e inserimento lasciano il tempo che trovano.
Un’affermazione all’inizio di questo viaggio nell’abisso
induce a riflettere. L’eroina non rende
peggiori o migliori di quello che in realtà si è. Fa solo in modo che la natura
vera di una persona venga fuori molto prima o semplicemente venga fuori.
Uno sconvolgimento di pensiero che annulla ogni argomentazione sulle cattive
compagnie, sull’assenza della famiglia e di figure educative di riferimento. Ci
sono due categorie: i buoni e i cattivi. Devi solo pregare di trovarti in
quella giusta perché non hai speranza, prima o poi la tua natura lombrosiana
viene fuori.
Il libro trascina il lettore in un girone infernale, non
riesci a staccarti dalle pagine, le crisi di astinenza della protagonista da un
lato fanno orrore e contemporaneamente ti portano a sperare che in qualche modo
riesca a procurarsi ciò che le serve. Senti anche tu il bisogno di aria fresca,
di riprenderti. Non puoi non chiederti come vomito, diarrea incoercibile,
caduta pressoria, clonie irrefrenabili, dolori migranti non inducano le guardie
prima e soprattutto il medico dopo a sospettare la scimmia. Tutto è sospeso in
questo tempo dilatato che ognuno spera passi il più velocemente possibile. Chi
è dentro è solo un problema da contenere sperando – senza mai crederci
veramente - che, una volta uscito, non si ripresenti più alla Matricola.
È solo verso la fine del libro che provi disgusto e rabbia
perché diventa inconcepibile sprecare tempo, oltre che vita, ricorrendo una
dose di eroina soprattutto quando ti confronti con le difficoltà del tuo
quotidiano.