Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

giovedì 5 novembre 2020

Due vite

I libri chiamano. Possono stare mesi, se non anni, ben allineati sullo scaffale di una libreria. Improvvisamente sovviene un pensiero, il ricordo di aver comprato un libro su consiglio di un’amica durante uno dei viaggi. Il titolo è ormai sprofondato nell’oblio, non la copertina che viene in mente in alcune caratteristiche distintive: il colore e la presenza di una foto in bianco e nero.

“Due vite” è un racconto in prima persona di uno psichiatra con un passato, ma anche un presente più o meno controllato farmacologicamente, di psicosi delirante. Il libro è inizialmente un viaggio nella memoria come anticamera a quello della malattia mentale.

L’esperienza schizofrenica è un vissuto sublime di identificazione con l’universo che è in te e vive per te. Fascino di un’esperienza in cui l’individuo tocca vette cosmiche di ineffabile gioia e di terribile sofferenza. È difficile ritornare da una dimensione universale di un mondo senza confini, in un mondo limitato e circoscritto. È il fascino dell’infinito, dell’eterno che non è dato agognare nei comuni individui. Se tu vuoi, la pioggia si trasforma in una cascata di sole, un’atmosfera piatta di bonaccia in un vento foriero di tempesta, un tenero affetto in una violenta passione

È lo scritto di un malato che il protagonista trova tra le pagine dell’Elogio della Follia e che è il vero senso, non solo del romanzo, ma dell’esperienza schizofrenica, sia diretta che vissuta di riflesso. L’insicurezza caratteriale, le pressanti aspettative dei genitori, la loro anaffettività, la non accettazione del suo aspetto fisico, causa di bullismo, sono le molle che catapultano il protagonista nel delirio come unico modo per superare le difficoltà e vivere la vita a lui imposta dal padre.

Ero annoiato e avevo la libertà assoluta di fuggire la realtà grigia di quel luogo attivando le mie salvifiche farneticazioni; non mi lasciai sfuggire l’occasione

La schizofrenia attivata da situazioni paradossali o comunque difficili da sostenere emotivamente. È questo un aspetto da considerare in presenza di disabilità mentale. Non tutto il male viene per nuocere anche se è la dose che fa il veleno. In mia figlia, la fuga dalla realtà è stato un modo per superare i problemi adolescenziali e che io stessa ho usato come sistema pedagogico. L’amico immaginario con il quale parlare è stato un surrogato per molti. La consapevolezza dei propri limiti, il mancato riconoscimento da parte degli altri, l’incapacità ad essere indipendente sono la causa della sua dissociazione schizofrenica, sempre più invasiva, dalla quale le risulta difficile affrancarsi, proprio a causa dei suoi limiti mentali.

Non ero destinato ad avere pace perché quando scendevo dal trono di super uomo in cui mi collocava la pazzia e tornavo, in seguito a guarigione, a immettermi nel mondo degli altri e dei loro affetti, vivevo una sensazione di depressione per la perdita di quello che era per me contemporaneamente inferno e paradiso perduto

È un circolo vizioso che si innesca che, se da un lato gratifica, dall’altro esaurisce ogni risorsa psichica, fagocita il quotidiano, avvelena le relazioni, condanna alla solitudine. Il delirio schizofrenico divora gli spazi, ha bisogno di luoghi nei quali muoversi. Da qui la contrapposizione tra ospedale psichiatrico e manicomio.

Approdai successivamente nei reparti ospedalieri, che mi sembravano subito angusti e soffocanti, limitanti la sensazione di maggiore libertà che nasceva in manicomio dalla notevole disponibilità di spazio, grande contenitore in cui avevano modo di diluirsi le mie angosce

È inevitabile la riflessione di cosa la legge Basaglia avrebbe dovuto portare. Aprire le porte del manicomio doveva consentire ai malati cronici, controllati dalla terapia farmacologica, di sperimentare la vita con il sostegno dei servizi territoriali nel ruolo di facilitatori di opportunità di impiego e di incontri relazionali. Nella realtà i malati psichiatrici sono stati abbandonati al loro destino, in carico a famiglie sempre più prosciugate di risorse psichiche ed economiche. Il ritornello è sempre uguale: mancano le figure professionali e i soldi per progetti di vita indipendente.

È una spirale che inevitabilmente ci risucchierà tutti. Quando capiterà non lo sappiamo. È sufficiente un elemento esterno, non prevedibile, né controllabile per gettarci in un’apocalisse sociale. Qualcosa tipo una pandemia.


 

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