Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

venerdì 3 febbraio 2012

Sbatti la disperazione in 192 pagine

Ho letto ben due volte il libro di Massimiliano Verga “Zigulì – la mia vita dolceamara con un figlio disabile” edizioni Mondadori. Non volevo basarmi solo ed unicamente sulle emozioni suscitate dalla lettura delle sue riflessioni, spesso brevissime, quasi zen nella loro drammaticità. Ho cercato di leggere il tutto sia con gli occhi di una madre di una ragazza disabile, che con quelli di chi legge da quando ha imparato a farlo.
Continuo a pensare che quest’opera sia frutto di una furba operazione editoriale in un periodo storico e sociale estremamente importante. I tagli ripetuti alla sanità e all’assistenza, ormai delle vere e proprie sforbiciate senza senso della peggiore tradizione di film horror, hanno cominciato a risvegliare dall’annientamento emotivo migliaia di persone che convivono con la disabilità ogni giorno, di ogni mese, di ogni anno della loro vita.
L’arte ha sempre curato l’anima; è un transfert ottimale in situazioni di estremo disagio e, in questo caso, Melpomene ha potuto esercitare a pieno la sua funzione, ma in certi passaggi non riesco a ritrovare la mia esperienza, anche quando la disperazione era così forte che potevo percepirla sotto forma di dolore fisico. E’ forse qui che si realizza la piena divisione tra sessi? Tra essere madre e essere padre?
Non penso di avere mai sentito una mamma affermare Se potessi avere cinque centesimi per tutte le volte che mi fai incazzare, avrei tanti di quei soldi che potrei mantenere l’intero quartiere in cui vivo. Mentre, se potessi avere cinque centesimi per tutte le volte che mi hai reso felice, forse potrei comprarmi un gelato. E’ vero, ci sono state madri che hanno ammazzato il proprio figlio ma, al di là di questi casi, frutto di solitudine sociale, affermazioni come questa sono una forma di inutile masochismo, di ricerca di consenso, forse studiata a tavolino.
Il libro vuole essere una brutta copia di “Dove andiamo, papa?” di Jean Louis Fournier, regista francese che ha avuto due figli con disabilità mentale complessa, ma che è riuscito ad usare l’ironia per descrivere situazioni difficili. Le sue battute suscitano un sorriso, talvolta una risata, ma mai imbarazzo come davanti a frasi tipo Sei come un rubinetto che perde: funzioni male e dai fastidio.
L’operazione editoriale è volta solo a suscitare scandalo, passando sopra alla dignità di questo padre ancora in balìa dello choc emotivo e non so se indignarmi più per questo o per le tante banalità che si sono dette e scritte su come sia stato coraggioso l’autore a mostrarsi in questa sua fragilità. Sono certa che fra qualche anno non sarà più sicuro di quello che ha scritto e messo in piazza e sarà difficile cancellare un tale documento. Purtroppo ci sono sempre i reminders!
La letteratura è ricca di opere che hanno attinto all’esperienza di vivere accanto alla disabilità: Giuseppe Pontiggia, il premio nobel Kenzaburo Oe, Giancarlo De Cataldo, giusto per dire i primi che mi vengono in mente.
I loro romanzi sono carichi di drammaticità, del loro senso di inadeguatezza nel rapportarsi con il figlio disabile, del loro difficile percorso di padre
Ci vuole una certa dose di coraggio – e di un coraggio venato di amarezza – per ammettere che ci sono stati e ci sono momenti in cui qualcuno nella mia famiglia non riesce a controllare la rabbia nei confronti di Hikari; e mi riferisco soprattutto a me stesso (tratto da “Una famiglia” di Kenzaburo Oe)
Non c’è bisogno di aggiungere altro. Chi ha un minimo di sensibilità va oltre allo scritto e realmente veste i panni dolorosi di questo padre. Viene messa a nudo la debolezza umana e istintivamente se ne ha rispetto, ci si mette in sintonia empatica, mantenendo il distacco del riserbo.
Dire che il proprio figlio ha il cervello di una Zigulì arricchisce solo la casa editrice; e di questo me ne dispiace molto per Massimiliano. Ma anche per Moreno

Nessun commento:

Posta un commento