Per la prima volta nella mia vita sono andata subito a comprare un libro dopo aver letto poche righe di recensione. E per subito intendo un calcio alle pantofole e scarpe da ginnastica infilate maldestramente sotto una mise da casalinga afflitta. Il mio amico Luciano Sartirana aveva scritto su facebook poche illuminanti parole: da ben 35 squisiti minuti ho iniziato a leggere “L’incanto del pesce luna” di Ade Zeno. Quel squisiti mi aveva folgorato, non era sicuramente la prima parola che gli era balzata in mente, c’era tanto di più. Non aveva parlato di 35 bei minuti, o di 35 piacevoli minuti, o di 35 stupendi minuti. Squisiti. Un aggettivo così carico di eleganza, raffinatezza, delicatezza, niente da divorare ma da centellinare, assaporare un po’ alla volta.
Ho evitato di leggere la trama, le recensioni in rete, i commenti dei lettori. Non sapevo niente, un pavimento tirato a lucido pronto ad accogliere i passi di qualcuno. L’incipit mi ha disorientata costringendomi a procedere con calma, ritornando indietro, rileggendo brevi frasi. C’erano alcuni indizi rivelatori che istintivamente ho preferito ignorare, perché troppo intensi nel significato e apparentemente distanti dal titolo con il suo mix di stupore, magia e sogno.
Di colpo ho attraversato la distanza che separa gli occhi dal libro per essere risucchiata nella storia, inseguendo il protagonista Gonzalo, dal lavoro così particolare: cerimoniere in una società per cremazione. Ecco il primo incanto, descrivere con eleganza una professione per la quale sono state spesso coniate parole denigratorie nei vari dialetti: schiattamuorto, becamort, mvussamùrt, interramortos. Gonzalo ha bisogno di guadagnare di più per pagare le cure alla figlia Ines, affetta da una malattia che, dall’età di otto anni, la costringe a letto in uno stato vegetativo. Gli extra fanno parte di un lavoro che va oltre la comune immaginazione riportando alla mente le atmosfere di Edgar Allan Poe.
Il secondo incanto è il tenero e delicato cerimoniale che Gonzalo riserva alla figlia, ormai grande, quando è il suo turno di visita. Le soffia delicatamente sul viso, controlla l’ago-cannula, le sistema le lenzuola; a quel punto entra di scena un registratore portatile che riproduce un vecchio film di Gene Kelly. Ecco il terzo incanto che coinvolge il lettore. Quel film in bianco e nero che la Rai mandava in onda ogni estate, al termine della scuola, insieme ad altri musical hollywoodiani, in una no-stop mattutina. Ne vengono descritti i passi di danza, le espressioni del volto, con il sottofondo della pioggia ed è sorprendente come si crei una magia che ti porta dentro al film alla maniera di Mary Poppins al parco con Bert.
Il quarto incanto è la storia del pesce luna, così delicata in un’atmosfera malinconica, una favola tra le tante che Gonzalo aveva inventato per la figlia quando ancora la malattia non era presente in tutta la sua progressiva drammaticità. Il quinto incanto è lo stile del racconto, mai banale, e poi l’assenza delle virgolette del discorso diretto a confermarne l’originale magia. Effettivamente è un libro squisito in una pletora di romanzi spesso grossolani, all’inseguimento dei trend del momento, all’interno di un ingranaggio perverso che li consuma senza che ne rimanga traccia.
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