La quarta di copertina strizza l’occhio al lettore che si
aggira tra le tante proposte dei book stores senza sapere bene cosa comprare e
spesso facendosi influenzare dalle brevi frasi sulla bandella che avvolge il
libro. Se mi fossi soffermata a leggerne il breve riassunto, sarei andata
oltre; per fortuna la mia scelta è frutto di un lavoro a monte di lettura e
ricerca in blog e siti specializzati. E’ raro quindi che il libro mi deluda e
che lo chiuda dopo poche pagine. E poi deve essere “tuttaltro”, il che non è
semplice!
L’essenza di questo romanzo è all’inizio, in quel
capitolo zero che merita una rilettura dopo essere arrivati alla fine. La
storia mi è piaciuta molto per lo stile narrativo e l’ironia, presente
soprattutto nella prima parte, quel descrivere e rapportarsi con un bambino
sordo, figlio della sua amica mezza sciroccata che, in prossimità di un parto
gemellare, pensa bene di affidarlo a lei; pur essendo una traduttrice e
conoscendo quasi tutte le lingue del mondo, la protagonista è completamente
all’oscuro del linguaggio dei segni e per la prima volta si trova a non capire
e a non farsi capire.
Parlare di disabilità con ironia non è semplice. Per
poterlo fare senza cadere nel ridicolo e nel macchiettistico, occorre essere
stati già travolti dal dolore, dalla disperazione più vera, dall’ammissione
della propria fragilità, per risalire la china e estraniarsi da tutto il
contesto, ponendosi in alto a guardare quell’io dibattersi nel quotidiano,
senza più avvertire la benché minima sofferenza e riuscendo a trovarne il lato
comico. In questo ambito Jean-Louis Fournier rimane un campione indiscusso.
“La donna è un’isola” (e io mi sento parte di un più
vasto arcipelago) è il racconto di un viaggio, vero e metaforico, alla ricerca
e comprensione di sé, nelle peggiori condizioni possibili: un bambino disabile
con grossi problemi di comunicazione, una natura selvaggia e impervia da
attraversare, il “ricicciare” del ex-marito deluso dalla donna con la quale ha
avuto una figlia, altri uomini incontrati durante il percorso (tre in poco più
di trecento chilometri), una madre che non manca di consigliarla secondo lo
standard non accettando il fatto che anche sua figlia è in qualche maniera
diversa.
Nel libro ci sono spesso riferimenti al cinema italiano e
alla mediterraneità in genere: si parla di Fellini, di “La vita è bella”. La
cosa non dovrebbe stupire se come popolo fossimo coscienti del grande
patrimonio culturale che possediamo, ma spesso occorre che qualcun altro ce lo
faccia capire per far riaffiorare l’atavico orgoglio
Bellissimo il passo in cui viene fatto un paragone tra il
bambino e due aspetti del ruolo dell’attore Certe
volte Tumi se ne rimane seduto immobile per un tempo indefinito (…) Fa pensare
a un attore impassibile dei tempi del muto, poi invece eccolo trasformarsi in
un mimo da paesi mediterranei, con l’espressione del viso che cambia cento
volte al secondo, le mani a comporre figure che io ancora non sono riuscita a
imparare. Solo così poteva essere descritta la frenesia che prende chi è
sordo dalla nascita e vuole comunicare con il mondo. In questo ne ho un ricordo
chiaro che risale alla mia infanzia e all’amicizia con una bambina sordo-muta.
Questa scrittrice, dal nome piuttosto complicato, è una
voce nuova nella letteratura che non mancherò di seguire.
Un pensiero al giorno
La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)
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