La lettura di “Day Hospital” è scorrevole e rapida, in un’ora
si legge tutto ma…la sospensione è doverosa. Avrei preferito che tutto ricalcasse
lo stile e le emozioni della parte scritta in corsivo. Il resto è sì un diario,
ma più nelle corde di uno studente di medicina o di quei tanti internauti alla
ricerca in rete della soluzione ai loro disturbi.
Ho trovato inutile specificare il tipo di protocollo
seguito per trattare il linfoma non Hodgkin o le varie associazioni di farmaci
mentre invece arrivano dirette le frustrazioni per gli effetti collaterali, più
o meno permanenti, degli antitumorali. Qui chi legge si immedesima, comprende,
rivive, partecipa.
Il breve spazio dedicato ai genitori è delicato, intenso
ma inserito a casaccio come se si fosse reso necessario allungare lo scritto. È
un peccato perché viene ad essere persa anche la magia dell’episodio con il
padre, quando l’autore trova e sperimenta un modo per comunicare con lui.
Alla chiusura del libro la prima impressione è stata di
una scelta affrettata per tenere il passo con uscite editoriali particolari che
da un po’ di tempo caratterizzano il mercato. Ben venga che si parli di
disabilità e di malattia ma, come per ogni altro libro di narrativa, occorre
che l’opera sia particolare, che racconti l’esperienza in maniera nuova, con
altra ottica ed emozione. Si può essere dei grandi scrittori ma non riuscire a
comunicare con la stessa originalità il proprio vissuto, soprattutto quando si
tratta di malattia. È
necessario che l’esperienza si sia sedimentata sul fondo e l’autore si trovi a
guardarla dall’alto. Può passare un giorno, un anno o più. La visione generale
consente di descriverla e di raccontarla usando tutti gli strumenti della
narrazione con sguardo lucido, riuscendo a dosare le emozioni e inserendo un
pizzico di ironia. D’altronde si sta scrivendo un libro e questo non è diverso
da tanti altri.
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