Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

giovedì 20 marzo 2014

Il tempo di imparare è infinito

Avevo letto in rete i pareri dei lettori sull’ultimo libro di Valeria Parrella: una platea divisa a metà tra chi l’apprezzava senza riserve e chi si sentiva deluso rimpiangendo lo stile de “Lo spazio bianco”.
La curiosità mi ha spinto ad andare a comprarlo subito, chiedendomi come mi era potuto sfuggire visto l’argomento. Già dai tempi de “Lo spazio bianco”, amato visceralmente, avevo avvertito che lo stile della scrittrice affondasse le radici in altro. Non si trattava solo di dimestichezza con la parola scritta, ci doveva essere necessariamente un vissuto intenso, quelle forti emozioni che ti rimbalzano di notte, nei momenti (pochi!) di tranquillità e che portano a scavare a mani nude finché le dita non sanguinano.
Ed ecco la conferma del sospetto, questo bellissimo libro che ho sottolineato, riempito di note e rimandi personali, di punti esclamativi.
Non è il solito memoir sulla disabilità ma un racconto in cui si intrecciano squarci narrativi intrisi di elementi metaforici ed allegorici a sequenze reali, asciutte in cui il dolore esplode
Mi chiudo nel mio studio, ti lascio solo, spengo la luce e penso che in un minuto può finire tutto questo. Un minuto, abito al sesto piano, il parapetto è già studiato da anni. Basta un salto, non mi salvo, il palazzo è antico, ogni piano più di cinque metri. Non posso dire di non averci pensato anch’io tante volte.
Per certi versi lo stile di Valeria Parrella ricorda quello di un’altra scrittrice, Francoise Lefevre, anch’essa alle prese con l’autismo del figlio. Le due donne condividono un’intelligenza vivace, una sensibilità fuori dal comune e questa maledetta lettera H che si fa largo a spintoni nel loro alfabeto, le porta a usare il lirismo anche nelle situazioni più drammatiche
Sotto come me ci sono tanti altri sommozzatori rispettosi, ognuno alla ricerca della sua stella marina, ciascuno il suo forziere: c’è un padre, sempre, alla sala d’attesa del centro di riabilitazione, alle 9 di mattina con un computer portatile. Suo figlio urla molto oltre la porta. La logopedista pure. Il sommozzatore attacca la sua bombola alla presa, quella vicino alla finestra e si tuffa. Suo figlio urla di rabbia, ma lui è dentro lo schermo ora.
Non è un libro facile anche per chi condivide con la scrittrice il numero 104/92 tatuato sull’avambraccio. Sarebbe un libro per tutti se ci fosse comprensione, ascolto, solidarietà, condivisione empatica e se non ci fosse il solito furbo che parcheggia nel posto riservato ai disabili.

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