Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

lunedì 2 giugno 2014

La scimmia sulla schiena

Ho ritrovato questa edizione del 1976 in soffitta tra centinaia di altri romanzi. Era stato un libro cult per la mia generazione, insieme a “Porci con le ali”. Stranamente non l’avevo letto, perché in quel periodo ero presa da smodata passione per Pirandello e anche perché il problema droga non era nel novero delle cose per me importanti.
L’ho letto in questi giorni, dopo quasi quarant’anni e una laurea in medicina, e ben sessantuno dalla sua prima uscita. Tra l’altro quest’anno ricorre il centenario della nascita di Burroughs
È un libro molto particolare e, di questi tempi, una rarità. Non credo che di recente sia stata pubblicata un’autobiografia che lontanamente gli assomigli nella forma e, strano a dirsi, nel garbo. Pur parlando di un argomento forte e di situazioni complesse, l’autore non cade mai nel trash.

Si scivola nel vizio degli stupefacenti perché non si hanno forti moventi in alcun’altra direzione. La droga trionfa per difetto. Io la sperimentai a titolo di curiosità

Borroughs non può essere considerato il classico tossicodipendente perché mantenne sempre una certa razionalità che lo portava a consumare droga incuriosito soprattutto dagli effetti. Non so se lo si possa chiamare uno studioso di sostanze stupefacenti, è indubbio che non appena veniva a conoscenza di una nuova sostanza, faceva di tutto per procurarsela. E’ il caso dello yage, bevanda allucinogena usata dai nativi amazzonici, che lo porterà in quella terra per sperimentarla
Era anche l’epoca di una certa liberalizzazione; molti medici rilasciavano ricette senza porsi alcuno scrupolo riguardo gli effetti o la possibile pericolosità. Burroughs stesso usa le scuse più improbabili per ottenerle. I soldi hanno sempre tacitato le coscienze o, come dice un vecchio detto popolare, hanno fatto andare l’acqua in su.
Viene descritto un sottobosco di personaggi squallidi, di poveri disperati alla ricerca della dose in cambio di vestiti, orologi, qualsiasi cosa fino ad arrivare alla prostituzione. Una capsula di eroina costava tre dollari, pari forse ai 200 euro di oggi, e per un tossico ci volevano almeno tre capsule al giorno. Fa sorridere il quadretto che l’autore fa dei grossisti italiani di droga

Un quarto di oncia di eroina dovrebbe bastare almeno per cento capsule prime di essere adulterata; ma se il grossista è italiano si può star certi che il conto non torna

La vera discesa negli Inferi accade quando l’autore decide di allontanarsi definitivamente dalla droga cadendo nell’alcolismo. È uno dei rischi più frequenti nei tossicodipendenti, certi che non sia un vizio, che sia possibile smettere di bere molto più facilmente rispetto alla disassuefazione tossica. È questa l’ultima parte del libro, quella in cui l’autore perde ogni dignità diventando una larva finché l’amico-spacciatore non gli fa una dose per salvarlo. Sembra un controsenso, ma è così!
È un libro che ho apprezzato molto, che dovrebbe tornare ad essere letto perché si viene catapultati, non solo nel delirio tossico, ma in un’epoca importante della cultura mondiale. Borrough aprì la strada alla beat generation con Kerouac e Ginsberg, che ne seguirono lo stile.
Importante fu l’incontro con il pittore Gysin con il quale ebbe un intenso rapporto artistico ed emotivo. Di lui scrive Ha avuto una conversione simile alla mia e fa dei quadri fantastici. Fa con la pittura quello che io cerco di fare nello scrivere. Considera la pittura come un buco nella trama della cosiddetta ‘realtà’ attraverso il quale esplora un luogo reale che esiste nello spazio esterno. Ecco spiegato con poche parole la sua scrittura, a metà tra il reportage e la memoria, asciutta, fedele, vera fino all’autoaccusa. L’ultimo capitolo è dedicato alla cura che elimina la tossicomania; per certi versi un trattato di farmacologia molto più interessante dei libri sui quali ho studiato perché l’esperienza narrata, pur nello stile scarno ed essenziale, arriva dritta alla coscienza e vi rimane.

Nessun commento:

Posta un commento