Sono le persone con
abilità diverse quelle che apportano cose diverse all’umanità.
E’ uno dei tanti pensieri di Karen, la protagonista di
questo romanzo, scritto in prima persona, nome che viene spesso sostituito con
IO, presente già dalle prime righe, scandito in maniera monotona mentre, seduta
su un telo rosso, si dondola davanti al mare.
Basta molto poco, non solo per capire che si tratta di
una persona autistica, ma per entrare nella sua mente e cominciare a pensare
come lei. In questo sta la bravura dell’autrice, Sabina Berman, quello di
catapultare il lettore nella testa di un’autistica e vedere con più chiarezza
la realtà senza le inutili sovrastrutture che cerchiamo di creare.
All’inizio Karen vive come una selvaggia in una vecchia
casa abbandonata, che era appartenuta al nonno. Ha i capelli lunghissimi e
incolti, le unghie ridotte ad artigli contorti, è sporca, piena di parassiti,
non parla e si nutre di ciò che trova, anche la sabbia del mare. Una zia, che
ha ereditato la casa e l’attività commerciale del nonno, si prende cura di lei.
Ben presto scopre che, se da un lato c’è un ritardo mentale, dall’altro Karen
ha grosse potenzialità, perciò impegna tempo e denaro per far emergere la
farfalla dal bozzolo nel quale è prigioniera. Per prima cosa le insegna a
parlare e poi a scrivere; incolla dei biglietti colorati con il nome scritto
sopra su ogni cosa presente in casa e nel giro di poco le stanze sono
tappezzate di etichette. Anche la zia, la domestica e l’autista hanno il loro
nome attaccato sul petto, come una medaglia al valore.
Il passo successivo, vista l’esperienza poco costruttiva
con una scuola speciale, è quello di trovare un’occupazione che sia vicina alle sue inclinazioni
naturali e qui, come già con Temple Grandin, si manifesta l’estrema empatia con
gli animali. Forse è proprio questo smaccato parallelismo con la vita della
Grandin che fa perdere freschezza al racconto: sembra di leggere qualcosa di
già sentito.
Per il resto il libro è bello, a tratti commuovente.
Molti i passi che sospendono il lettore in una realtà nuova, come quando, per
ritrovare serenità, si immerge in acqua e va a fondo attraversando gli strati
di vario colore: prima il turchese, poi il verde, l’azzurro e infine il blu
profondo. Qui si distende senza pensare più a niente, diventando parte del
Tutto. Non è poi così straordinario: basta volerlo, ma il nostro essere “umani
standard” non consente tanta spontaneità di gesti. E’ forse Cartesio con il suo
cogito ergo sum ad averci rovinato? Per Karen il pensiero non può essere il
discriminante dell’esistenza. Lei per prima cosa esiste e poi, solo a volte, con
lentezza e difficoltà, e soltanto se strettamente necessario, pensa.
Leggere questo romanzo, al di là della storia, dà nuovi
strumenti per capire la persona autistica e per trovare un punto di incontro
nella comunicazione
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