Questa volta voglio parlare di un racconto: “La mite” di
Fiodor Dostoevskij, il cui primo capitolo inizia con alcune note da parte dello
scrittore per chiarire la definizione di “racconto fantastico” che lo
caratterizza.
In realtà si tratta di uno stupendo monologo, fissato su
carta come se ogni pensiero del protagonista fosse stato trascritto da un abile
stenografo; ed è la presenza di questo stenografo, che immaginiamo nascosto
nell’ombra, che risulta “fantastica”.Già la premessa dà il senso di quello che verrà letto subito dopo e che si rifà ad un fatto di cronaca realmente accaduto.
Dostoevskij ha il grande pregio di descrivere le emozioni dei suoi personaggi senza strafare accompagnando per mano il lettore nei meandri della mente.
Il tutto ha inizio con l’immagine di un uomo davanti al corpo della moglie, morta suicida. Da lì partono i ricordi. Il protagonista, voce narrante, è proprietario di un banco di pegni; è attratto da una giovane, sua cliente, che vive con due zie anziane che la tiranneggiano. Decide di sposarla e inizialmente tutto sembra procedere per il meglio ma, di punto in bianco, cambia atteggiamento, diventando lui stesso una sorta di aguzzino.
I pensieri si susseguono e, con il progredire di questo monologo interiore, riusciamo ad avere nuove chiavi di lettura dei due personaggi. La giovane sposa, così come la Lolita di Nabokov, conscia del potere derivante dalla freschezza dell’età, diventa essa stessa una fine torturatrice psicologica. I ruoli si invertono, anche se per poco.
Dopo una lettura empatica, consiglio di riprendere in mano il racconto, analizzandone la struttura perché dà le basi fondamentali, utili sia alla narrativa che alla drammaturgia.
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