Un pensiero al giorno

La gente di ogni parte del mondo oggi cerca la soluzione del problema umano nel progresso scientifico, nel successo politico, professionale e nell'immediata soddisfazione dei bisogni e delle passioni. Accade perciò che, mentre ciascuno invano cerca di difendersi egoisticamente dal sacrificio e dal dolore, in realtà provoca situazioni di inaudita sofferenza a se stesso e agli altri. E' un assurdità, ma costituisce la logica comune. (Anna Maria Cànopi)

giovedì 29 agosto 2013

Forse sogno di vivere, ovvero come sopravvivere all'orrore


Il 15 aprile 1945 il campo di Bergen Belsen venne liberato dagli alleati. Ospitava 40.000 prigionieri stipati in 200 capannoni, ognuno dei quali poteva contenere solo 100 persone; invece più di 1000 erano letteralmente buttati lì a morire di fame, tra i liquami delle loro feci e quelli dei cadaveri in decomposizione.
Circa 4000 prigionieri erano malati, colpiti dal tifo, ma ne morirono più di 11.000 nelle due settimane successive alla liberazione perché non più abituati ad alimentarsi; il carico proteico e calorico di una semplice zuppa di latte e patate non era sopportato da un corpo che era privo di cibo e acqua da settimane (altro che i sei giorni dichiarati dalle SS!).
Il libro “Forse sogno di vivere” è la testimonianza di Ceija Stojka che all’epoca aveva 11 anni e si trovava lì da soli 4 mesi: fu probabilmente questo la sua salvezza.
Non voglio farne la recensione perché rischierei di cadere nella retorica e nel ridicolo. Mi limito a inserire i brani che mi hanno più colpito, lasciando ad ognuno la riflessione.

Non appena fummo arrivati dietro quel filo spinato, che era nuovo di zecca e scintillava al sole, il nostro sguardo fu catturato subito dai morti. Col petto squarciato, erano stati scavati all’interno, avevano solo le costole e la pelle, erano completamente privi delle interiora, che cioè erano state strappate da altri esseri umani, e quegli altri esseri umani li avevano mangiate

Se non ci fossero stati i morti ci saremmo assiderati. Mia madre ha detto: «Meglio infilarsi tra i morti, non c’è vento e tanto tu non hai paura!» Dunque mi ci sono infilata, la testa all’esterno e i piedi all’interno. Faceva un bel caldo, lì in mezzo.

Abbiamo mangiato anche stringhe e inghiottito terra. se non c’è più niente mangi tutto, anche dei vecchi stracci (…) La maggior parte delle donne non avevano più coperte perché si erano mangiate l’ultima che avevano.

Ho ricavato l’acqua dal filo spinato. Hai visto la goccia, la raggiungi con la bocca e non appena hai in bocca la prima, si è separata dalle altre e ci è scivolata la successiva. Un sorso succoso, bello. Ha fatto così la maggior parte delle donne. Altrimenti non saremo riusciti a sopravvivere.

E’ strano, ma io ho provato compassione anche per i nazisti. Erano esseri umani pure loro. E il sangue ha circolato nel loro cuore proprio come nel nostro. L’unica differenza è stata che da noi ha circolato un po’ più velocemente perché abbiamo avuto sempre paura.

«Credi che questi siano individui normali?» ha detto. «Ma mamma, non sanno niente di quello che è successo!» ho detto io. «Non ci credo» sono state le sue parole «è impossibile! L’odore deve essergli arrivato!»

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