Il 15 aprile 1945 il campo di Bergen Belsen venne
liberato dagli alleati. Ospitava 40.000 prigionieri stipati in 200 capannoni,
ognuno dei quali poteva contenere solo 100 persone; invece più di 1000 erano
letteralmente buttati lì a morire di fame, tra i liquami delle loro feci e
quelli dei cadaveri in decomposizione.
Circa 4000 prigionieri erano
malati, colpiti dal tifo, ma ne morirono più di 11.000 nelle due settimane
successive alla liberazione perché non più abituati ad alimentarsi; il carico
proteico e calorico di una semplice zuppa di latte e patate non era sopportato
da un corpo che era privo di cibo e acqua da settimane (altro che i sei giorni
dichiarati dalle SS!).
Il libro “Forse sogno di vivere”
è la testimonianza di Ceija Stojka che all’epoca aveva 11 anni e si trovava lì
da soli 4 mesi: fu probabilmente questo la sua salvezza.
Non voglio farne la recensione perché
rischierei di cadere nella retorica e nel ridicolo. Mi limito a inserire i
brani che mi hanno più colpito, lasciando ad ognuno la riflessione.
Non appena fummo arrivati dietro quel filo spinato, che era nuovo di
zecca e scintillava al sole, il nostro sguardo fu catturato subito dai morti.
Col petto squarciato, erano stati scavati all’interno, avevano solo le costole
e la pelle, erano completamente privi delle interiora, che cioè erano state
strappate da altri esseri umani, e quegli altri esseri umani li avevano
mangiate
Se non ci fossero stati i morti ci saremmo assiderati. Mia madre ha
detto: «Meglio
infilarsi tra i morti, non c’è vento e tanto tu non hai paura!»
Dunque mi ci sono infilata, la testa all’esterno e i piedi all’interno. Faceva
un bel caldo, lì in mezzo.
Abbiamo mangiato anche stringhe e inghiottito terra. se non c’è più
niente mangi tutto, anche dei vecchi stracci (…) La maggior parte delle donne
non avevano più coperte perché si erano mangiate l’ultima che avevano.
Ho ricavato l’acqua dal filo spinato. Hai visto la goccia, la raggiungi
con la bocca e non appena hai in bocca la prima, si è separata dalle altre e ci
è scivolata la successiva. Un sorso succoso, bello. Ha fatto così la maggior
parte delle donne. Altrimenti non saremo riusciti a sopravvivere.
E’ strano, ma io ho provato compassione anche per i nazisti. Erano
esseri umani pure loro. E il sangue ha circolato nel loro cuore proprio come
nel nostro. L’unica differenza è stata che da noi ha circolato un po’ più
velocemente perché abbiamo avuto sempre paura.
«Credi che
questi siano individui normali?» ha detto. «Ma
mamma, non sanno niente di quello che è successo!» ho detto
io. «Non
ci credo» sono state le sue parole «è
impossibile! L’odore deve essergli arrivato!»
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